venerdì 19 luglio 2013

Blood,Sweet And Tears - Child Is Father To The Man


E' il primo album dei Blood, Sweat and Tears pubblicato in un anno fatidico: il 1968. Child Is Father To The Man già dalla copertina e dal titolo dell'album (allora si chiamavano LP) dimostra di essere figlio dei tempi e di rappresentare a pieno la forza innovatrice di quella generazione di musicisti. 
In Italia in quegli anni per ascoltare questo tipo di musica bisognava ingegnarsi; infatti esisteva solo la radio di Stato che dava pochissimo spazio alla musica giovanile. In pratica c'era Bandiera Gialla (dal 1965) di Boncompagni e Arbore che andava in onda il sabato alle 17,40 e una rubrica di 15 minuti a cura delle case discografiche internazionali che andava in onda tutti i giorni feriali dalle 14,10. La rubrica, che si chiamava incredibilmente "Il discobolo", proponeva l'ascolto di tre brani presentati ogni giorno da una Label diversa; quindi c'erano giorni in cui c'era la Fontana, che aveva in scuderia gli Spencer Davis Group (condotti da Steve Winwood), Barry McGuire (You are on my mind) e i Fifth Dimension (Aquarius), e altri giorni in cui c'era la CBS che proponeva musica classica. Urgeva trovare altre fonti, aprire nuove finestre sulla scena musicale inglese e americana. Una notte, smanettando l'autoradio alla ricerca di musica seduti sul divano anteriore della sua (del padre) Ford Taunus, io e il mio amico Mimmo rimanemmo fulminati da una musica del tutto nuova trasmessa in AM da una fantomatica Radio Luxembourg. Era la musica dei Blood, Sweat and Tears e la radio era la prima radio libera d'Europa. Il giorno dopo ci precipitammo da Jalenti, il negozio di dischi più fornito della città, a cercare tracce di quello che avevamo ascoltato. La frenesia dipendeva anche dal fatto che la notte precedente dentro a quella macchina americana non si respirava proprio un aria purissima e il dubbio che ci fossimo immaginato tutto aveva una sua cittadinanza. Il disco non c'era, ma si poteva ordinarlo ad un importatore di Milano. Tempo stimato: due settimane. Durante il giorno Radio Luxembourg non trasmetteva, e non vi dico la delusione e lo spavento che ci attanagliarono quando nel pomeriggio riprovammo a trovarla sulla stessa autoradio. Non c'era Google e non sapevamo come reperire informazioni sulla subito amata e sconosciuta radio. Dopo la mezzanotte come per incanto riascoltammo l'avveniristica sigla di apertura di quella che sarebbe diventata la nostra compagna fissa di innumerevoli notti in "surplace" automobilistico. Quando finalmente il disco arrivò era un pomeriggio afoso e in casa di Mimmo era buio pesto (tutti gli scuri chiusi e le luci spente: allora il caldo si combatteva così). Ci chiudemmo nel salone dove c'era il giradischi Hi-Fi, lui infilò il disco sul perno centrale e io sollevai la testina per depositarla sul primo solco vinilico. Overture di archi? Ok, siamo pronti a tutto: stupiteci! Pochi secondi e tutto ha un senso con l'attacco di chitarra di I Love You More Than You'll Eever Know un vero capolavoro firmato da Al Kooper e magistralmente eseguito dall'ensemble. Indimenticabile la chitarra di Steve Katz. Ottoni e organo Hammond ci portano nel nuovo mondo di Al Kooper con Morning Glory un immaginifico incontro tra la musica modale e il Country americano. La contaminazione di generi prosegue con il rockeggiante My Days Are Numbered che ospita un modernissimo e breve solo di chitarra. Con Without Her approdiamo alla Bossa Nova e al Jazz visti dai Blood con un risultato formidabile sotto ogni punto di vista. Qui, ricordo, avemmo un primo sussulto di godimento. E' la volta di Just One Smile altra perla del disco dove orchestrazioni ardite e inimitabili atmosfere segnano forse il punto più alto dell'album. Geniale l'arrangiamento d'archi e fiati del blues kooperiano I Can't Quit Her che prelude alla delicata e ispirata Megan's Gypsy Eyes. L'attacco di Hammond di Somethin' Goin' On ci riporta in uno stato vigile e ricettivo e di li a poco ci convince definitivamente che ci troviamo al cospetto di un capolavoro. C'è dentro tutto: jazz, blues, rock, musica sinfonica, Rithm 'n' Blues con sopra la ciliegina della grande interpretazione vocale di Al Kooper. John Simon ci regala un'altra perla con il bellissimo arrangiamento d'archi di The Modern Adventures of Plato, Diogenes and Freud una canzone con i crismi dell'eternità. La chiusura è affidata a So Much Love ancora una volta cantata magistralmente dal nostro Al a cui non smetteremo mai di dire grazie per questo memorabile disco. Ricordo che la chiosa d'archi mi rimase nelle orecchie per diverse ore.

giovedì 27 giugno 2013

Hard-Fi

Genere musicale: Alternative / Indie / Punk

Membri
Richard Archer - Voce
Ross Philips - Chitarra
Kai Stephens - Basso
Steve Kemp - Batteria

Provenienza: Staines (Middlesex), in pratica un sobborgo di Londra.

Brutti, sporchi e cattivi, sono i perfetti rappresentanti dei sobborghi inglesi, dove la vita è dura e ogni giorno ci si ripete che bisogna assolutamente andarsene da lì, ma poi non si va da nessuna parte. Gli Hard-Fi cantano proprio questo: le angosce e le speranze dei giovani che si ritrovano a vivere in vere e proprie città fantasma, dormitori a pochi chilometri dalla grande città, dove non c'è niente. Loro quel nulla lo hanno utilizzato al meglio. Hanno preso in affitto un ex capannone industriale e ne hanno fatto il loro laboratorio musicale. In pochi mesi hanno sfornato il loro primo mini album STARS OF CCTV ( 2002 ) dove CCTV sta per tv a circuito chiuso. In pratica Richard Archer (autore dei testi) ci dice che siamo tutti delle star della tv, ma di quella di sorveglianza. Il singolo invece affronta il problema dei soldi e si intitola CASH MACHINE. Dopo un paio d'anni il video di "Cash machine" viene notato da MTV che lo inserisce nella sua programmazione. Alla fine del 2004 il gruppo viene messo sotto contratto dalla Atlantic, che pubblica il mini album. Un anno dopo il disco esce arricchito, in formato LP (undici tracce), e arriva in Italia all’inizio del 2006. Nel settembre 2007 esce ONCE UPON A TIME IN THE WEST, che entra direttamente al primo posto delle classifiche inglesi.
Da allora la band ne ha fatta di strada, ma sono rimasti a Staines, e nel 2011, da quello stesso laboratorio post industriale che aveva visto la loro nascita, hanno distillato un altro album, KILLER SOUNDS. Il primo singolo lanciato, GOOD FOR NOTHING, se la prende con i politici, the man who lives upstairsche parlano e non ascoltano e sono buoni a cosa? A niente.


Bjòrk

Artista totale, prototipo della figura multimediale di diva del futuro, Bjòrk è riuscita a imporre la sua immagine e la sua musica sfuggendo a qualsiasi strategia commerciale, spinta dalla curiosità e dalla sfida con se stessa. Come i Radiohead hanno cercato di deviare dalla strada già segnata delle rock band, così l'artista islandese ha tracciato un percorso personalissimo, dal punk degli inizi fino alla new wave dell'altro mondo con gli Sugarcubes e la calda musica elettronica degli album da solista. Icona femminile degli anni '90, Bjórk si affaccia sul futuro con la forza istintiva di un talento che sa anticipare i tempi, utilizzando strumenti antichi e macchine moderne. La musica elettronica, quella da camera, la dance, il free jazz, la musica etnica, il pop, il jazz vocale (Ella Fitzgerald), i cori di ogni paese e i rumori di qualsiasi macchina sono tutti ingredienti e influenze che vanno a comporre la sua arte.
Bjòrk ha pubblicato giovanissima, nel 1977, un album di cover, tra cui una versione in islandese di "The Pool On The Mili" dei Beatles. Nel 1981 fa parte del duo punk Tappi Tikarrass e poi entra nei Kukl (1983 -1986), una band influenzata dalla new wave inglese. Qui conosce Siggi ed Einar, poi finiti negli Sugarcubes. Con l'album solista Debut arriva al terzo posto della classifica inglese, collaborando con Nellee Hooper, Talving Singh, Jhelisa e Marius De Vries. Con il film di Von Trier, "Dancer In The Dark" vince nel 2000 la Palma d'Oro a Cannes. Lo spettacolo Unplugged di MTV del novembre '94 mostra nude le diverse componenti del suono di Bjòrk, lasciando libera la sua voce di occupare lo spazio, tra harpsicord, flauti e tablas. Lo stesso esperimento ripreso con l'Icelandic String Quartet nei concerti del 1999.

mercoledì 26 giugno 2013

Bob Marley

Profeta rasta, filologo del reggae, inventore dell'afro-pop, leader del più grande movimento pacifista degli anni '70, Bob Marley è stato tutto questo e molto altro. Rigoroso, assoluto e dissoluto: una ventina di figli sparsi per il mondo (dei quali una decina legalmente riconosciuti) e una morte dolorosa, per tumore, evitabile ma non evitata. Marley rifiutò di farsi asportare chirurgicamente le parti ammalate, perché, diceva, il suo corpo era di Dio, e lui non poteva disporne.

Dire che Bob Marley venga dalla Giamaica è limitativo. Bob Marley per certi versi è la Giamaica. Quella dei quartieri poveri di Kingston, quella delle gang che in gergo si chiamavano "Rude Boys". La sua musica coniuga ritmi africani, soul, calypso e perfino jazz, il tutto mescolato in un armonioso disordine suburbano. 
La scoperta di Marley aveva in sé i germi di una rivoluzione: la musica sacra dei ghetti giamaicani aveva un inesplorato potenziale artistico e  commerciale. Anche se all'inizio nessuno ci credeva. Venti dollari e una copia omaggio, questo fu il compenso che Bob Marley ottenne all'inizio degli anni '70 per la pubblicazione del suo primo singolo, "Judge Not". «E se poi divento famoso?» chiese Marley al boss della piccola etichetta giamaicana che lo mise sotto contratto. «Tu famoso? Ma per piacere, non scherziamo» fu la risposta. Il primo disco ufficiale di Marley pubblicato in America fu Catch A Pire del 1972, e fu una folgorante rivelazione. Ma è difficile individuare il momento esatto dell'esplosione della sua popolarità, dal momento che la sua discografia non è affatto lineare. Molte piccole case discografiche giamaicane continuarono per anni a pubblicare in modo semiclandestino gli album di Marley ottenendo grandi risultati. Basti pensare a Herbsman, pubblicato illegalmente nel 1971 : nel corso degli anni vendette più del doppio dell'album del debutto ufficiale.
Sorprendente, dal punto di vista ideologico, fu la sua dichiarazione di guerra, gridata a gran voce nel 1978: «Voglio la pace, ma prima ancora, e ancor più voglio giustizia» disse. «E l'unico modo per ottenere giustizia è lottare. Il mio è un canto di guerra». E dire che per tutta la vita fu considerato un leader non violento.